Il pregiudizio infondato
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Ma andiamo con ordine: la storia vede per protagoniste una famiglia dell’Africa dell’Ovest e precisamente, del Burkina Faso, in cui lei la madre A. (tutti i nomi sono volutamente coperti per proteggerli) vive con la figlia maggiore, il marito e il bimbo più piccolo. La figlia G. è molto carina e dolce, ha sui 12 anni e non si accorge dello stato di stanchezza in cui versa la madre. Da quando li avevo incontrati andavo spesso e volentieri da loro poichè la loro compagnia garbata e gentile mi faceva presto dimenticare del mondo rumoroso e degli obblighi-doveri da svolgere. La madre racconto’ un giorno della nostalgia verso il suo Paese d’origine e della necessità di rivedere persone a lei vicine; il marito così, invitò dopo qualche mese, un amico a casa, che si scoprì essere il fratello di una delle mogli lasciate in Burkina. Ricordiamo quanto questo particolare non sia ininfluente: infatti, in tutta l’area subsahariana la religione più diffusa è quella islamica e consente la poligamia.
L’Arena esistenziale degli intrecci
- Era trascorso molto tempo dal momento in cui il padre non vedeva D., il fratello della moglie lasciata in Burkina;
- D. aveva assistito nella sua infanzia a scene piuttosto conflittuali tra la madre e il padre (questo particolare proveniva dal racconto di Aicha, la madre dei bimbi);
- Il bimbo di 2 anni stava ricevendo tutte le cure e le coccole necessarie alla sua crescita.
Di lì a poco sarebbe accaduto un terribile evento di cui anche le nostre decantate istituzioni sono protagoniste.
Una signora il cui figlio frequentava lo stesso asilo del figlio minore, ascoltò a casa propria, mentre il bimbo era suo ospite parole smozzicate come…”tato butto…butto”; qualche giorno dopo, anche la sorella cominciò a farfugliare, ovviamente con lo stile commisurato all’età…”Il nostro tato guarda brutti film strani… “Insomma, ci volle poco tempo per la vicina di casa per tirar le somme e raccontare tutto. Ma tutto cosa poi? Quello che credeva di aver compreso, perchè non chiese nè rassicurazioni nè indubbie certezze. Probabilmente la paura, ma altresì il bisogno di essere protagonista la spinse verso i Servizi territoriali sociali, avendo cura di raccontare nel dettaglio dei film di dubbio gusto visti dal ragazzo che in casa aveva in custodia G. e il bimbo piccolo.
Da quel momento iniziò la caduta nell’abisso per la famiglia: la madre venne ascoltata, la quale rispose in modo sincero e dunque, senza difese, ma senza la doverosa chiamata di una mediatrice culturale, che poteva essere utile per comprendere meglio mappe di valori che trattano in maniera differente la sessualità nella matrice familiare.
Il bambino venne portato via, presumibilmente in una comunità d’accoglienza e per Aicha iniziò un periodo buio e quasi senza via d’uscita; lei, la mamma era stata privata del suo bambino e questo perchè dal suo punto di vista aveva lasciato il ragazzo, amico di suo marito con i suoi figli.
Si sentiva terribilmente in colpa, ma non secondo la sua cultura d’origine, bensì ascoltando le istituzioni italiane.
- E ora le domande che sorsero spontanee a me e a molti dell’associazione:
- perchè l’assistente sociale credette subito al valore delle parole della vicina di casa?
- come mai non si preoccupò di sincerarsi della veridicità delle sue parole e non fece invece, un’analisi approfondita dei rapporti familiari?
L’associazione locale burkinabé venne infatti convocata, ma soltanto dopo 1 settimana.
Grazie al lavoro di tessitura e di mediazione interculturale, anche con l’aiuto di alcuni di noi, il bambino riuscì a ritrovare la via di casa e a superare la paura di aver perso la madre. Tutte le accuse di molestie sul loro amico verso il bimbo vennero ricusate. Ma il giudizio che sulla madre pesò a lungo gettò ombre su di lei: non essere stata in grado di badare al piccolo così come di contenere la figlia maggiore.
Troppo a lungo pre-giudichiamo l’altro da noi senza badare alle terribili conseguenze dell’errore; se provassimo invece a prendere una lente di ingrandimento per osservare e partecipare degli eventi potremmo forse evitare distorsioni del reale provenienti dall’infinitamente piccolo. E invece dovremmo stare in una molteplicità.