“Viaggiando nelle rel-Azioni “
“La volontà di superare la riva del fiume è più forte della corrente che l’attraversa”
Eppure il mediatore sociale e-o familiare sa bene quali siano i rischi connessi alla sua professione, ai confini tra l’operatore di prossimità e l’educazione emotiva pura e semplice.
E nonostante ciò s’avventura utilizzando sia le risorse umane di cui dispone, innate quali sensibilità, intuizione, creatività, sia quelle acquisite in corsi o seminari, quali l’abilità nel circoscrivere un’azione, nell’ascoltare in modo attivo <3 colui o colei che avverte un disagio e nel saper entrare con duttilità e circospezione all’interno di un conflitto.
Narriamo insieme dunque, dell’analisi di tre contesti in cui il mediatore può trovarsi a fungere da detonatore di emozioni per il singolo, uomo o donna che sia.
1- Un ragazzo dal fare spiritoso ferma per strada colei che non sa essere mediatrice approcciandola con nonchalance sul suo sorriso caloroso, il suo abbigliamento alfine di poterne conquistare la fiducia. Se lei fosse una ragazza soltanto, si limiterebbe a tentare la via del No, negandosi all’approccio oppure viceversa, per timore di ferirlo, per timore di risultare insicura, accetterebbe via via ogni sua successiva profferta. Esiste tuttavia, un sentiero più impervio ma creativo che consente di conoscere la persona in questione salvando la propria riservatezza (essendo donne vale ancor di più): la ragazza scherza con luiuna, due, tre volte rispondendo ai tentativi di conoscenza. Ad esempio, ad un …”che lavoro fai?…”può senz’altro rispondere il vero, formatrice, educatrice o quant’altro, mentre se le domande divengono più intime…come un “tieni famiglia” può tranquillamente omettere qualche dato senza rischiare di risultare offensiva. La modalità di soStare all’interno della conoscenza permette infatti, di conservare come amicizia quella che potrebbe essere una relazione ma che, se troppo invasiva, risulterebbe faticosa. In seguito, la mediatrice approfondendo la conoscenza, scopre che il ragazzo è un ex-detenuto e, lungi da qualsiasi fuorviante stereotipo, gli acquista uno dei quadretti colorati che utilizza per sostenersi.
Come può terminare questa vicenda? La ragazza nè si allontanerà del tutto, ma nemmeno intreccerà un rapporto con il ragazzo, piuttosto lo inviterà in studio per riflettere insieme sulle sue possibilità future, facendo in modo che il suo interesse primario diventi la creazione di un percorso ad hoc tra relazioni annodate e talenti da ricucire.
2- Caso semplice ma insidioso: l’amica che chiede di uscire tacendo un forte bisogno di sostegno emotivo. In questo caso, per non incappare nel senso di esclusione di lei se rifiutata ma nemmeno nell’ascolto fagocitante di ogni evento o situazione di cui non si scoprirebbe la fine, la mediatrice-amica meglio farebbe a scegliere il ruolo di amica facilitando il contatto con lei, ascoltandola, ma ponendo frasi che fungano da contrappeso e da cassa di risonanza (ad es. “…sento davvero quanto hai sofferto). In tal modo, il canale emotivo resta aperto, ma il baricentro emotivo resta ben in equilibrio.
3- L’ultimo pare semplice, ma assolutamente non privo di rischi. Ad es. un’auto s’avvicina affiancando in seconda corsia la nostra auto con fare minaccioso; se entrassimo nel conflitto non ne conosceremmo che i risvolti d’escalation in una dinamica Maggiore-Minore molto pericolosa. Anche l’indifferenza non appare utile; piuttosto, meglio abbassare il finestrino e ostentare un volto che approccia le sue scuse: questo allo scopo di evitare altre azioni più aggressive (tipiche fra tutte oggi nel mondo giovanile il dito medio alzato) che non farebbero altre che gettare ombre fatidiche sulla figura del mediatore.
A dire il vero, la terza mi è successa qualche tempo fa. A chi mi urlava contro, rosso di rabbia, per una precedenza non data in una rotonda ho risposto con il silenzio, con un volto sommesso di scuse ma anche di curiosità per l’inaudita violenza di chi mi si stava scagliando contro come se fossi il male assoluto. Alla fine, è stato lui a chiedere scusa a me, avendo forse compreso il suo inutile spreco di energìe e la sua eccessiva aggressività verso un uomo che non aveva ancora proferito parola e che lo guardava soltanto incuriosito praticando un esercizio di pace e ragionevolezza.
Ritengo si sia trattata da parte tua, di una risposta davvero adeguata; spesso, il corpo, prima ancora delle parole può giungere laddove esse non potranno mai, a stabilire un minimo di empatia. Non so come tu l’abbia osservato, ma se hai usato uno sguardo carico di comprensione, sicuramente il suo spirito si sarà prima alleggerito, probabilmente sentendosi anche in colpa. (La colpa per inciso, è un sentimento cui lavorare poichè viaggia agli antipodi così come la paura, dunque lungo l’asse bianco-nero paura-colpa).